25 aprile: al Liceo classico si ricorda Jacopo Dentici
Come accade da qualche anno, nel corso della celebrazione cittadina della festa della Liberazione la sede di via don Minzoni è stata una delle tappe. Qui infatti è stata deposta una corona commemorativa di Jacopo Dentici (dopo quella deposta al Sacrario Caduti Partigiani del Cimitero Maggiore e quella al Rondò Carducci in memoria di Franco Quarleri).
Il corteo si è poi formato alla stazione (Lapide Ferrovieri Caduti per la Libertà) e si è soffermato in via Ricotti al Monumento ai Caduti, accompagnato dalla Banda musicale Città di Voghera e dal Coro degli alpini, per raggiungere infine Piazza Duomo. In Sala Consiliare il saluto del Sindaco dott. Carlo Barbieri e l’orazione del prof. Francesco Tessarolo, Presidente della F.I.V.L. (Federazione Italiana Volontari della Libertà).
Ecco il testo letto da alcuni studenti delle sezioni classica e linguistica del Liceo ‘Galilei’.
Oggi ricordiamo il 73° anniversario della Liberazione; il 1° gennaio abbiamo invece ricordato il 70° anniversario dell’entrata in vigore della nostra Costituzione: due date inscindibili perché la sconfitta, anche in Italia, del totalitarismo nazifascista ha costituito la premessa necessaria dell’affermazione dei valori e dei principi che stanno a fondamento della nostra Carta costituzionale e che hanno delineato anche per noi e per chi verrà dopo di noi lo “spazio comune”inclusivo di diritti e di garanzie che qualificano un ordinamento democratico.
Nel 1955 il giurista e costituente Piero Calamandrei apriva il suo notissimo discorso agli studenti milanesi con queste parole:
<<In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie. Sono tutti sfociati qui in questi articoli; e, a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane …>> Le voci erano, e sono, quelle di Mazzini, Cavour, Cattaneo, Garibaldi, Beccaria, <<Grandi voci lontane, grandi nomi lontani … Ma>> proseguiva Calamandrei <<ci sono anche umili nomi, voci recenti! Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, cha hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, è un testamento, è un testamento di centomila morti.
Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione.>>
Uno di questi giovani, la cui eredità morale e politica si è incarnata nella Carta costituzionale, è Jacopo Dentici, che possiamo conoscere solo in modo indiretto attraverso le testimonianze di chi lo ha conosciuto: di lui ci rimangono infatti le sue poesie e poche frasi, perché la sua breve vita si concluse tragicamente a Mauthausen. Giovanissimo partigiano, a Milano era entrato a far parte della segreteria di Ferruccio Parri, al Comando generale del Corpo Volontari della Libertà. Arrestato nel novembre 1944, il 16 gennaio successivo era stato trasferito al campo di Bolzano e da qui deportato a Mauthausen il 1° febbraio 1945, dove moriva, nel sottocampo di Gusen, circa un mese dopo, poco più che diciottenne.
Ferruccio Parri in un sentito ricordo scriveva di lui:
<<Un giovane non comune, non facile a giudicare ai primi incontri e per un certo schivo ed orgoglioso pudore di se stesso e per una certa complessità di carattere. […] Un’intelligenza avida di ogni ricerca, una volontà prepotente di ogni conquista intellettuale, ed insieme immaginazione e capacità d’intuizione poetica, fresco fervore di vita spesso gioioso, e insieme l’amarezza e il dubbio dell’età e del primo incontro con la vita; ed un fondo di inesausta delicatezza giovanile.
E dunque una personalità già formata, se non matura. Una ricca vita intellettuale, un forte senso morale, un’autonoma capacità critica, nessuna passione politica. Nuovo dunque e non pregiudicato di fronte al dramma del suo paese e pur preparato a intenderlo.>>
Jacopo apparteneva ad una generazione nata e cresciuta nell’Italia fascista, educata all’obbedienza e al conformismo: di fronte alla crisi delle istituzioni e della società, anche lui avrebbe potuto pensare e scrivere quello che leggiamo in una lettera mai spedita che il suo quasi coetaneo Giacomo Ulivi, diciannovenne partigiano fucilato a Modena da un plotone della Guardia Nazionale Repubblicana la mattina del 10 novembre 1944, indirizzò agli amici e che costituisce una sorta di suo testamento politico e spirituale. Di fronte a un paese distrutto materialmente e moralmente egli invita a ripartire da sé, non rifugiandosi nel privato ma aprendosi ad una prospettiva politica, cioè di responsabilità e partecipazione:
<<Al di là di ogni retorica, – scrive – constatiamo come la cosa pubblica sia noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, insomma, che ogni sua sciagura è sciagura nostra, come ora soffriamo per l’estrema miseria in cui il nostro paese è caduto: se lo avessimo sempre tenuto presente, come sarebbe successo questo?
Appunto per questo dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante. Perché da questo dipendono tutti gli altri, le condizioni di tutti gli altri. Se non ci appassionassimo a questo, […] specialmente oggi, quella ripresa che speriamo, a cui tenacemente ci attacchiamo, sarà impossibile. […] Come vorremmo vivere, domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere! […] Avete mai pensato che nei prossimi mesi si deciderà il destino del nostro Paese, di noi stessi: quale peso decisivo avrà la nostra volontà se sapremo farla valere: che nostra sarà la responsabilità, se andremo incontro a un pericolo negativo? Bisognerà fare molto. Provate a chiedervi … quale stato … vi pare ben ordinato: per questo informatevi a giudizi obbiettivi. […] Dovete convincervi, e prepararvi a convincere, non a sopraffare gli altri, ma neppure a rinunciare.
Oggi bisogna combattere contro l’oppressore. Questo è il primo dovere per noi tutti: ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi in modo duraturo, e che eviti il risorgere di essi ed il ripetersi di tutto quanto si è abbattuto su di noi.>>
Anche Jacopo, continua Ferruccio Parri nel suo ricordo, “[…] tra il 1943-44 rifletté a lungo. Poi si decise, e fu una decisione sua e meditata, non influenzata da esempi e da amicizie. Nel ragazzo vi era la stoffa dell’uomo che vuol essere chiaro con se stesso. Molti fecero come lui, a Milano ed in tutta l’Italia combattente.
Ma perché quella maturazione di coscienza e di scelta mi aveva particolarmente colpito ed interessato? Perché era la risposta dei giovani che nei primi mesi di lotta ancora incerti più ansiosamente attendevamo. Essa ci avrebbe detto se eravamo dei superstiti accantonati dalla storia o avevamo per noi l’avvenire. Questa risposta ci avrebbe dato storicamente torto o ragione.
Essa dette ragione alla insurrezione liberatrice; l’apporto di giovani coscienze pure e disinteressate ne accentuò il valore e l’impegno di rinnovamento, ne accrebbe la tensione e l’altezza morale: quella che permette a buon diritto di parlare di Risorgimento nazionale.”
Questa lezione di piena responsabilità dell’individuo, di autonomia del cittadino contro l’indifferenza e gli accomodamenti della rinuncia è il messaggio etico e civile sempre attuale di Giacomo e di Jacopo che, oltre settant’anni fa, compirono una scelta di cui ciascuno portava su se stesso tutta intera la responsabilità: una scelta di libertà.
(i lettori: Martina Orsi, Marta Scolè, Guglielmo Gianesi e Pablo Suescun)