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25 aprile: il dovere della memoria

Come accade da qualche anno, nel corso della celebrazione cittadina della festa della Liberazione la sede di via don Minzoni del nostro Liceo è stata una delle tappe. Qui infatti, sede storica del Liceo Ginnasio ‘Severino Grattoni’, è stata deposta una corona commemorativa di Jacopo Dentici (dopo quella deposta al Sacrario Caduti Partigiani del Cimitero Maggiore e quella al Rondò Carducci in memoria di Franco Quarleri).

IMG-autorità Il corteo si è poi formato alla stazione (Lapide Ferrovieri Caduti per la Libertà)  e si è soffermato in via Ricotti al Monumento ai Caduti, accompagnato dalla Banda musicale Città di Voghera e dal Coro degli alpini, per raggiungere infine Piazza Duomo per l’alzabandiera e l’omaggio ai Caduti.

In Sala Consiliare il saluto del Sindaco dott. Barbieri e l’orazione della dott.ssa Primarosa Pia hanno concluso la celebrazione ufficiale della Festa della Liberazione.

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Ecco il testo letto dagli studenti

Alessandro De Lucia, Riccardo Buscaglia,

Gea Seiberl, Francesco Oliva.

 

 

La storia non è solo quella contenuta nei  manuali scolastici o nei saggi degli storici di professione: la storia tutta, anche quella della Resistenza,  è un brulichio di individui che agiscono, scelgono, hanno sentimenti, provano smarrimenti, vivono drammi.

La storia va anche raccontata e tramandata di generazione in generazione: questo è un obbligo, un impegno etico e civile che spesso i protagonisti e i testimoni della Resistenza (ma anche della deportazione) hanno assunto nei confronti dei giovani, in particolare degli studenti per aiutarli a capire eventi a cui non hanno assistito e che oggi ci sembrano molto lontani.

Queste voci, per ovvie ragioni anagrafiche, stanno diventando sempre meno numerose.

Poco meno di un mese fa, all’età di 103 anni, è scomparso anche Luchino dal Verme, il comandante Maino del nostro Oltrepò partigiano, che molte volte nel corso della sua lunga vita ha raccontato  senza alcuna retorica, con una punta di ironia e non senza disincanto, la vita militare di un giovane di famiglia nobile, l’esperienza della guerra prima in Francia e poi in Russia “a far la guerra dei tedeschi nel nome del re”,  i primi dubbi e, infine, dopo l’8 settembre 1943 la difficile ‘scelta’ che lo avrebbe portato a comandare prima la brigata “Casotti” e in seguito la divisione garibaldina “Antonio Gramsci”, sino alla liberazione  di Casteggio nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1945.

 “La mia decisione di diventare partigiano – raccontava – non fu facile; maturò lentamente, fu faticosa e sofferta. L’8 settembre gli uomini si trovarono di fronte a tre scelte: obbedire ai tedeschi, cioè non assumersi, per paura, nessuna responsabilità; seguire il proprio interesse, la propria convenienza, tentando di tenere, senza compromettersi, il piede in due scarpe; la terza soluzione significava, invece, aver capito che era indispensabile schierarsi e quindi compromettersi. Di fronte alle tre scelte (la paura, l’interesse, il coraggio) chi accettò di non fare compromessi e di portarsi su una linea di pulizia, di farsi libero, prima di tutto dalla paura comprese la situazione. Difficilmente la scelta dell’impegno fu una scelta qualunquista o una scelta del meno peggio, perché era una scelta definitiva, si usciva dall’ordine di allora, si era ribelli all’ipocrisia e al compromesso”. 

L’8 settembre fu per lui lo “scrollone indispensabile per misurare il vuoto che il fascismo aveva creato in noi”, la misura del vuoto in cui tutti si trovarono di fronte solo a loro stessi e alla propria coscienza, ma anche sinonimo di un “nuovo inizio”, di incontri, di scelte, di capacità di decidere  e di assunzione personale e diretta di responsabilità contro la violenza, l’arroganza, l’intolleranza, la miseria, la sottomissione a un’ideologia di sopraffazione.

Di Jacopo Dentici,studente di questo Liceo agli inizi degli anni Quaranta, e della sua scelta abbiamo invece quasi soltanto testimonianze indirette: ci rimangono le sue poesie e poche frasi, perchè la sua breve vita si concluse tragicamente ad appena 18 anni  a Mauthausen.

Le scarne biografie dicono di lui che era uno studente di intelligenza precoce, scriveva poesie, curava traduzioni e che, dopo la maturità classica, si iscrisse alla facoltà di Fisica dell’Università di Milano a soli 17 anni. Appartenente ad una famiglia antifascista, dopo l’8 settembre Jacopo era entrato nei Gap del Comando Piazza di Voghera, dedicandosi a varie attività, dalla raccolta di armi alla distribuzione di stampa clandestina, all’aiuto agli ex-prigionieri anglo-americani. Si era poi trasferito a Milano, dove era entrato a far parte della segreteria di Ferruccio Parri, al Comando generale del Corpo Volontari della Libertà. Dopo l’arresto nel novembre 1944, il 16 gennaio successivo era stato trasferito al campo di Bolzano e da qui deportato a Mauthausen il 1° febbraio 1945. Trasferito a Gusen vi moriva circa un mese dopo, poco più che diciottenne.

Jacopo apparteneva ad una generazione nata e cresciuta nell’Italia fascista, educata all’obbedienza e al conformismo: di fronte alla crisi delle istituzioni e della società, la scelta per la libertà, per la libertà nacque dall’imperativo posto dalla sua coscienza, come ci dicono le sue stesse parole:     “La legge morale va portata nel mondo e nella società, va attuata come sacrificio perché serva ad esempio.”

Ferruccio Parri in un  sentito ricordo scriveva:

Jacopo tra il 1943-44 rifletté a lungo. Poi si decise, e fu una decisione sua e meditata, non influenzata da esempi e da amicizie. Nel ragazzo vi era la stoffa del’uomo che vuol essere chiaro con se stesso. Molti fecero come lui, a Milano ed in tutta l’Italia combattente.

Ma perché quella maturazione di coscienza e di scelta mi aveva particolarmente colpito ed interessato? Perché era la risposta dei giovani che nei primi mesi di lotta ancora incerti più ansiosamente attendevamo. Essa ci avrebbe detto se eravamo dei superstiti accantonati dalla storia o avevamo per noi l’avvenire. Questa risposta ci avrebbe dato storicamente torto o ragione.  Essa dette ragione alla insurrezione liberatrice; l’apporto di giovani coscienze pure e disinteressate ne accentuò il valore e l’impegno di rinnovamento, ne accrebbe la tensione e l’altezza morale: quella che permette a buon diritto di parlare di Risorgimento nazionale.”

E’ questa lezione  di piena responsabilità dell’individuo, di autonomia del cittadino contro l’indifferenza e gli accomodamenti della rinuncia,  il messaggio e la lezione lucidissima di Luchino e di Jacopo che, oltre settant’anni fa, compirono una scelta di cui ciascuno portava su se stesso tutta intera la responsabilità: una scelta di libertà.

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