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“Giornale di Voghera”, 20 dicembre 2012

Sabato scorso si è tenuta nell’aula magna del liceo classico la prima giornata di studio dedicata al ricordo del professor Gabetta.

Anche il sindaco e alcuni assessori del’Amministrazione hanno presenziato all’evento, introdotto dalla Dirigente Scolastica, Daniela Lazzaroni.

L’iniziativa era partita qualche mese or sono, da alcuni ex allievi del professore che hanno saputo trovare un momento e uno sponsor, la UBI Banca, per istituire un premio alla sua memoria; l’intenzione era quella di premiare lo studente che meglio di era distinto, nell’arco del triennio, nelle discipline da lui insegnate in questa scuola nel periodo che va dalla fine degli anni ’50 al ’90.

Da cinque anni il professore è scomparso, ma, come si è visto in quella giornata, intatta resta l’impressione e il ricordo che il suo nome da solo evoca: insieme a lui l’immagine di una scuola che avrebbe dovuto formare la ‘futura classe dirigente’, ma in cui si poteva accedere e avanzare se avevi tenacia e costanza nello studio, anche se eri figlio di poveri -come voleva Gramsci- una scuola non per tutti ma per chi la sceglieva, selettiva in un paese dove l’istruzione stentava a diventare patrimonio comune, di cui dava tragico resoconto la ‘Lettera ad una professoressa’ e la realtà di Barbiana.

Nella scuola che aveva attraversato il fascismo, l”epurazione’ del suo preside non ebreo, ma quasi, le difficili scelte dei ragazzi dopo l’8 settembre, le giornate della liberazione, arrivava alla fine degli anni ’50 il professor Gabetta; con lui il rigore di un metodo, nell’equità, una competenza professionale e una ‘distanza’ dall’allievo -come è stato detto dal suo ex allievo, Alberto Canobbio e relatore della giornata- possibili solo in una scuola collocata in un contesto molto diverso da quelli in cui la colloca il travagliato e difficile tempo odierno.

Ripensare al professor Gabetta è inevitabilmente chiedersi quanto di lui è rimasto in ciascuno di noi che l’ha avuto come prof., e nel contempo fare il punto della situazione, lo status quaestionis, di quanto noi riusciamo ad incidere e trasmettere, con metodi tanto diversi, a ragazzi tanto diversi in una realtà sociale tanto diversa.

Ma la giornata di sabato ha messo in evidenza l’affetto che lega ancora oggi tutti quelli che lo hanno sperimentato come professore, indistintamente e a prescindere da quelle che erano al tempo le nostre paure di essere interrogati, il non sentirci all’altezza, la certezza di non riuscire a fare bene le versioni, le retroversioni da Machiavelli con le velleità di ricostruire quella decade di Livio da cui erano tratte…il ciclostile, il toccare il cielo con un dito quando portavi a casa un sei…

Ma il rischio della deriva autobiografica, sempre dietro l’angolo quando si tratta di ricordi -o rimembranze- forti, potrebbe dare ‘pesantezza’, come dice I. Calvino, alla leggerezza indispensabile nel secondo millennio ed è quindi utile riportare la testimonianza di una giornata importante per il liceo; agli allievi che stanno frequentando nei due corsi gli ulltimi due anni è stata offerta una lectio magistralis dal professor Canobbio, docente presso l’università di Pavia. Il titolo della sua relazione: ‘un foedus regni’, un patto di potere, espressione contenuta nel Proemio del libro ‘Bellum civile’, ‘La guerra civile’, più noto come ‘Pharsalia’, dalla città, Farsalo, su cui si combattè l’ultimo atto della guerra civile tra Cesare e Pompeo. L’autore, Lucano, nipote di Seneca, spagnolo come lo zio e suicida a 26 anni, è una delle vittime più illustri della repressione neroniana, insieme allo zio, al romanziere Petronio e a molti intellettuali stoici coinvolti in una congiura nota col nome dei Pisoni. Come illustrava il relatore, un regnum, un potere regale, non ha bisogno di foedera, di patti: l’espressione è quindi un ossimoro in sè in quanto afferma ciò che dovrebbe negare: se si è re non si fanno patti, ci si impone e si è accettati per automatismo, a meno che non si tratti di fratelli che dovrebbero regnare ad anni alterni, come i figli di Edipo; con questa citazione indiretta, di cui il professore ha prodotto altre ricorrenze testuali in altri autori, si svelerebbe quindi il preludio greco tragico che avrà il suo esito nella storia romana, la guerra fratricida diventa guerra civile e condanna i fratelli ad uccidersi a vicenda in una sequenza infinita che macchia di sangue la storia dell’umanità, dai mitici fondatori Romolo e Remo, agli ‘Uomini e no’, passando per la storia di Cesare e Pompeo e lì caricandosi dell’ineluttabilità e delle metafore ‘viscerali’ di chi si gira il pugnale ‘vincitore’ contro le sue stesse viscere.

E’ solo un breve esempio di come la relazione del professore ha utilizzato la lettura intertestuale di Lucano, Seneca, Stazio e altri autori per dimostrare la possibilità della scrittura di criticare per allusione il potere, di recuperare e citare in modo implicito letture che richiamano significati e ne rilanciano altri caricati di nuovi elementi di attualità. Una lezione di filologia che pensiamo sarebbe piaciuta al professor Gabetta.

Alla cerimonia era presente anche la nipote del professore, Maria Rosa Gatti; dello zio ha ricordato, commossa, la figura schiva, riservata, ma mai indifferente, che conservava la foto degli allievi di tutte le sue classi.

Si è proceduto alla fine della giornata all’assegnazione del premio: è risultato vincitore, selezionato dalla Commissione del Dipartimento di Scienze dell’Antichità, lo studente Riccardo Codevilla, che ha frequentato il liceo e lo ha appena lasciato per iscriversi alla facoltà di sociologia dell’Università di Trento. La motivazione ne sottolineava la dedizione allo studio e all’applicazione nelle discipline classiche, supportato da costanza nelle difficoltà che tale studio comporta e da interesse personale e spontaneo. Riccardo lo ha dedicato alla nonna. Ci auguriamo che possa accompagnarlo nell’humanitas che i suoi studi coltivano e che il ricordo di quella giornata sia per lui viatico di dolcezza nel cammino che sta continuando.

Maria Monica Gentili

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